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Accessibilità culturale: barriere visibili e invisibili nei luoghi della cultura

Accessibilità culturale: barriere visibili e invisibili nei luoghi della cultura

Riflessioni a partire dal corso nazionale della Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali

Accessibilità culturale - Rodighiero.design for All


L’accessibilità culturale come visione sistemica

L’accessibilità culturale non è un insieme di requisiti tecnici né un protocollo da applicare per adempiere a norme. È un processo culturale e organizzativo che riguarda l’intero ecosistema dei luoghi della cultura: spazi architettonici, modalità di fruizione, sistemi comunicativi, competenze professionali e relazioni tra persone.

Una trasformazione che richiede visione, consapevolezza e un approccio progettuale capace di abbracciare la complessità della diversità umana.

Questa prospettiva è al centro del corso nazionale “Accessibilità culturale: principi e pratiche”, promosso dalla Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività Culturali all’interno del programma Personeper – Accessibilità nei luoghi della cultura.

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All’interno di questo percorso formativo, Francesco Rodighiero, insieme ad Antonella Agnoli, ha curato la lezione “Le barriere visibili e invisibili: comprendere il contesto per definire le soluzioni”, un modulo che indaga in profondità gli ostacoli – tangibili e intangibili – che condizionano la piena esperienza dei luoghi della cultura.


Riconoscere le barriere oltre l’evidenza

Nell’immaginario collettivo, musei, archivi e biblioteche sono percepiti come luoghi naturalmente aperti a tutti. In realtà, la loro accessibilità è spesso limitata da una costellazione di barriere che interferiscono con la fruizione, l’orientamento, la comprensione e il senso di appartenenza delle persone.

Le barriere fisiche costituiscono il primo livello di ostacolo: gradini, rampe insufficienti, ascensori non adeguati, passaggi stretti, percorsi interni frammentati. Non riguardano solo le persone con disabilità motorie: condizionano anche chi vive temporaneamente una fragilità, come genitori con passeggini, persone anziane o visitatori con mobilità ridotta.

A queste si aggiungono le barriere percettive e sensoriali: sistemi di orientamento che non guidano, illuminazione insufficiente, testi poco leggibili, ambienti acusticamente problematici. Sono difficoltà che incidono sull’esperienza di chiunque, non solo su persone con ipo- o ipersensibilità.

Le barriere tecnologiche rappresentano infine una dimensione sempre più rilevante. QR code, interfacce digitali non accessibili, contenuti non compatibili con le tecnologie assistive e l’assenza di alfabetizzazione digitale generano nuove forme di esclusione invisibile.

Sebbene evidenti, queste barriere vengono spesso affrontate in modo frammentato, senza una strategia complessiva. L’accessibilità culturale, invece, richiede un progetto unitario orientato alla persona.

La soglia simbolica dei luoghi della cultura

Molti ostacoli sono meno tangibili ma altrettanto incisivi. I luoghi della cultura custodiscono infatti una soglia simbolicache può trasmettere distanza o senso di inadeguatezza.

I linguaggi utilizzati nei pannelli, la complessità delle narrazioni, gli apparati informativi progettati per un pubblico colto o specialista, i layout delle sale che suggeriscono chi appartiene a quel luogo e chi no: tutti questi elementi concorrono a definire una barriera culturale difficile da scalfire.

Si tratta di dinamiche sottili ma decisive. Possono trasformare un museo in un luogo percepito come elitario, o una biblioteca in uno spazio che “non è per me”, nonostante la sua missione pubblica.

Il programma generale del percorso Personeper approfondisce questi temi: https://www.fondazionescuolapatrimonio.it/offerta-formativa/personeper-accessibilita-luoghi-cultura/

Le barriere organizzative: ciò che non si vede

Una parte significativa della lezione affronta le barriere sistemiche, ovvero gli ostacoli invisibili generati da scelte organizzative e gestionali.

Orari limitati o incompatibili con la vita quotidiana, scarsità di servizi flessibili, assenza di figure dedicate alla mediazione culturale, personale non adeguatamente formato sull’accoglienza inclusiva, disallineamento tra comunicazione online e realtà in presenza: sono fattori che influenzano profondamente l’esperienza del visitatore.

L’accessibilità culturale non dipende solo da spazi e tecnologie, ma dalla qualità dei processi che regolano la vita di una istituzione culturale.

Giustizia sociale e barriere economiche

L’accessibilità è anche una questione di risorse. Il costo dei trasporti, dei servizi educativi, delle attività laboratoriali o delle tecnologie può costituire un ostacolo significativo per molti cittadini.

Progettare in modo inclusivo significa interrogarsi sulla sostenibilità economica delle esperienze culturali e immaginare modelli di fruizione equi e accessibili.

L’equità non è un principio astratto: è un elemento concreto di progettazione che determina chi potrà – e chi non potrà – accedere alla cultura.

Le barriere relazionali: la dimensione più fragile

Le barriere più sottili, ma forse più determinanti, sono quelle relazionali.

L’assenza di ascolto, la difficoltà nel costruire fiducia, il senso di solitudine, la mancanza di un supporto umano nei momenti critici sono tutti elementi che influenzano in modo decisivo l’accesso alla cultura.

La relazione è una componente essenziale del progetto culturale. Senza relazioni, nessun luogo è veramente accessibile.

Investire nella qualità dell’accoglienza, nella mediazione culturale e nella costruzione di comunità significa creare condizioni reali di partecipazione.

Spazi che si trasformano: appropriazione, flessibilità e vita quotidiana

Gli esempi di biblioteche europee analizzati durante la lezione – da Copenaghen a Barcellona, da Oslo a Whitechapel – mostrano come gli spazi culturali più inclusivi siano quelli capaci di adattarsi, trasformarsi e accogliere modalità differenti di presenza.

Luoghi che permettono alle persone di sostare, studiare, incontrarsi, osservare, partecipare, riposare.

Spazi che non impongono una postura o un comportamento, ma offrono libertà d’uso e possibilità di appropriazione. La flessibilità architettonica e funzionale diventa così uno strumento fondamentale per accogliere la diversità umana.

L’accessibilità come occasione di rigenerazione culturale

Concepire l’accessibilità culturale come principio progettuale significa riconoscerla come opportunità di rigenerazione.

È un investimento strategico che permette di ripensare servizi, modelli organizzativi e forme di accoglienza, ampliando la partecipazione e valorizzando la pluralità dei pubblici.

L’accessibilità non è un vincolo burocratico, ma una condizione che arricchisce i luoghi della cultura, ne rafforza la missione pubblica e li rende nodi vitali delle comunità contemporanee.

Architettura accessibile: innovazione e inclusione negli spazi pubblici e privati

Architettura accessibile: innovazione e inclusività negli spazi pubblici e privati

Verso un ambiente costruito senza barriere

Nel panorama dell’architettura contemporanea, il concetto di architettura accessibile è sempre più centrale, rispondendo alla necessità di progettare spazi inclusivi e fruibili da tutti. La crescente attenzione verso la progettazione universale e il Design for All ha portato a un’evoluzione significativa nel modo di concepire edifici e ambienti, eliminando progressivamente le barriere architettoniche e promuovendo soluzioni innovative per una mobilità senza ostacoli.

vedi rodighiero.design

Principi fondamentali dell’architettura accessibile

Un approccio progettuale per un’utenza diversificata

Dal 2007, il nostro studio ha maturato un’esperienza consolidata nella progettazione di spazi accessibili, sviluppando soluzioni su misura per edifici pubblici e privati. L’architettura accessibile che realizziamo si basa su una serie di principi cardine che garantiscono un ambiente costruito adatto a una vasta gamma di utenti:

  • Progettazione universale: creazione di spazi utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle loro capacità fisiche o cognitive.

  • Eliminazione delle barriere architettoniche: rimozione di ostacoli strutturali che limitano la mobilità e l’autonomia.

  • Integrazione dell’ergonomia negli spazi pubblici e privati: progettazione che migliora il comfort e la sicurezza di tutti gli utenti.

  • Uso di materiali e tecnologie innovative: soluzioni avanzate per garantire accessibilità senza compromettere estetica e funzionalità.

  • Flessibilità d’uso: progettazione di ambienti capaci di adattarsi a diverse esigenze, favorendo l’autonomia di tutti gli utenti.

  • Chiarezza e percezione: uso di segnaletica efficace, contrasti visivi adeguati e illuminazione studiata per facilitare l’orientamento.

Dall’accessibilità all’inclusività

Oltre le normative: una visione proattiva della progettazione architettonica

Non si tratta solo di conformarsi a normative esistenti, ma di adottare un approccio proattivo capace di anticipare le esigenze degli utenti e migliorare la qualità della vita. Il Design for All rappresenta una metodologia progettuale che non considera l’accessibilità come un vincolo, bensì come un’opportunità per realizzare ambienti più funzionali, accoglienti e armoniosi.

L’inclusività negli spazi architettonici non riguarda solo le persone con disabilità motorie, ma anche anziani, bambini, persone con difficoltà sensoriali e chiunque possa beneficiare di un ambiente più intuitivo e accogliente. Nel nostro lavoro, creiamo edifici con percorsi fluidi, spazi modulabili e tecnologie integrate, non solo per garantire l’accessibilità, ma per sviluppare una nuova estetica capace di valorizzare il concetto di equità nell’abitare.

Vedi il nostro processo di lavoro

Applicazioni pratiche e innovazioni tecnologiche

Esempi concreti di progettazione inclusiva

L’architettura accessibile trova applicazione in diversi ambiti, e nei nostri progetti ci occupiamo di:

  • Edifici pubblici e privati progettati con percorsi senza ostacoli, ingressi facilitati e segnaletica accessibile.

  • Spazi interni inclusivi che favoriscono la mobilità e l’ergonomia, come cucine accessibili, bagni adattabili e arredi modulari.

  • Tecnologie assistive integrate nelle costruzioni per migliorare l’accessibilità di persone con disabilità motorie e sensoriali.

  • Sistemi di smart building che consentono il controllo automatizzato di illuminazione, porte e dispositivi per facilitare l’autonomia.

  • Uso della natura come strumento di inclusione: progettare spazi verdi e aree pubbliche con percorsi accessibili, aree tattili e zone di riposo per garantire benessere psicofisico a tutti.

Attraverso ogni progetto, il nostro obiettivo è coniugare accessibilità e valore estetico, ponendo al centro le esigenze delle persone e sviluppando soluzioni che migliorano la qualità della vita.

Accessibilità e innovazione: ripensare l’architettura del futuro

Il futuro dell’architettura: progettare per tutti

l progresso nell’architettura accessibile non si misura solo nell’eliminazione di ostacoli fisici, ma nella creazione di ambienti realmente inclusivi. La progettazione universale, l’abbattimento delle barriere architettoniche, l’uso intelligente di tecnologie innovative e l’integrazione del Design for All rappresentano la strada per un futuro più equo e sostenibile.

Dal 2007, il nostro studio ha progettato spazi che mettono l’accessibilità al centro, dimostrando che architettura e inclusione possono coesistere armoniosamente. Progettare senza barriere non è solo un obbligo etico, ma una straordinaria opportunità per migliorare il benessere collettivo e creare una società più equa e consapevole.

Design for All, Inclusive Design, Universal Design: approcci progettuali a confronto

Nell’evoluzione costante del Design e dell’innovazione, emerge sempre più la necessità di porre al centro della progettazione l’obiettivo dell’inclusione. L’inclusione è una parola che porta con sé numerosi significati e ambiti, in quello progettuale rappresenta l’ambizione di vivere in una società in cui ogni individuo, indipendentemente dalle sue abilità, disabilità, età, genere o background culturale, ha accesso agli stessi servizi, prodotti e opportunità – un mondo veramente equo e accessibile per tutti. L’importanza di porre l’inclusione al centro del processo di progettazione è resa ancor più evidente dal progressivo invecchiamento della popolazione: l’aumento della longevità è un segno di progresso, ma presenta nuove sfide per trovare le risposte più pertinenti alle esigenze di una popolazione anziana che convive con almeno cinque generazioni. Questo rende per il Design un imperativo etico, tecnico e pratico.

In tale contesto, emergono tre discipline significative che hanno affrontato la progettazione attraverso riflessioni in decenni di storia: Design for All, Inclusive Design e Universal Design. Ognuna affronta il tema con modalità da diverse angolazioni, ma con un obiettivo comune: migliorare la vita degli individui, l’autonomia e, più in generale, il benessere e il comfort attraverso la progettazione. Seppur con un obiettivo comune, ognuna ha le sue  caratteristiche distintive, in termini di processo, strategie e benefici. Le tre discipline promuovono una cultura di accettazione, rispetto e considerazione; questo conduce a una maggiore coesione sociale, a una riduzione delle disparità e a una maggiore partecipazione attiva di tutti i membri della comunità.

Dalla dichiarazione di Stoccolma del 2004, il Design for All è il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. Le principali premesse sono l’approccio olistico e la sfida creativa: la prima evidenzia la necessità di organizzare gruppi di lavoro con le competenze e le professionalità necessarie per affrontare il progetto nella sua totalità e complessità; la seconda l’energia e la determinazione che spinge a esplorare nuove idee per superare gli ostacoli trovando soluzioni alternative e innovative. La sfida creativa ed etica è rivolta non solo ai progettisti, ma anche agli imprenditori, agli amministratori e ai dirigenti politici a cui è chiesto di considerare costantemente l’inclusione come parte integrante della loro visione proprio perché sono fondamentali decisori del processo progettuale in opera.

Il coinvolgimento attivo e creativo degli utenti finali, degli stakeholder (debitamente selezionati) e degli experiencer (diretti e indiretti) è il pilastro del Design for All, che ha consolidato da vent’anni la centralità di processi partecipativi. Gli individui eterogenei per cui sono destinate le soluzioni – che siano prodotti, servizi o ambienti – devono essere coinvolti fin dalle prime fasi del processo di progettazione perché portano una prospettiva unica e preziosa sulla loro esperienza e sulle eventuali difficoltà che affrontano. Il team di lavoro collabora con loro per comprendere i loro bisogni, preferenze ed esigenze specifiche, e trasformando le informazioni in requisiti di progetto che daranno vita alle soluzioni opportune anch’esse validate dalle persone coinvolte.

Il Design for All rappresenta una sfida che richiede tempo, impegno e talvolta costi aggiuntivi rispetto a un approccio tradizionale, ma riduce notevolmente la possibilità di errori (e quindi a sua volta eliminando i costi di rettifica) proprio per la continua verifica “bottom-up”. Inoltre assicura che le soluzioni siano mirate alla gradevolezza e non discriminanti, ovvero senza enfatizzare le differenze o le esigenze specifiche, come ad esempio quelle delle persone con disabilità.

 

LInclusive Design è una filosofia di progettazione molto simile al Design for All, infatti si pone come obiettivo la partecipazione in modo equo, sicuro e indipendente nelle attività quotidiane considerando la diversità umana. Per raggiungere questi obiettivi adotta una serie di principi chiave (esplicitati dal Design Council) che pongono, come il Design for All, le persone al centro del processo di progettazione promuovendo il benessere personale, la coesione sociale e il piacere per tutti. Sottolinea la necessità di non focalizzarsi unicamente alle limitazioni motorie, ma di estendere il proprio raggio d’azione anche alle difficoltà di apprendimento, ai problemi di salute mentale, alle disabilità visive e uditive. 

L’Inclusive Design riconosce apertamente che non sempre è possibile risolvere tutte le esigenze con una singola soluzione, e propone di rendere nota la parte di popolazione che potrebbe essere esclusa – le cause possono essere dovute a questioni tecniche, tecnologiche o, talvolta, economiche. Esorta a proporre alternative che tengono conto della diversità delle esigenze degli utenti, garantendo la possibilità di scelta, come collezioni di prodotti, soluzioni complementari, add-ons o altro. 

Di particolar rilievo, riconosce la diversità delle esigenze in continuo mutamento e propone che le soluzioni siano predisposte alla flessibilità nel tempo, garantendo che l’accesso e l’usabilità siano continuamente ottimali.

 

L’Universal Design è un approccio molto diffuso negli Stati Uniti, in Australia e non solo, che si basa su 9 principi chiave, rendendo il processo di progettazione inclusiva apparentemente di semplice applicazione: equità nell’uso, flessibilità nell’uso, semplicità e intuitività, informazioni per tutti, tolleranza all’errore, riduzione dell’Impegno fisico, dimensioni e spazio adeguati, compatibilità con il futuro, e bassi costi d’uso. Seppur la lista (o manifesto) sia ampiamente condivisibile, apprezzabile, e nonostante non sia concordato un particolare processo o metodo, questi principi subiscono continue integrazioni e precisazioni. La complessità del progetto contemporaneo e delle sfide richiede un continuo adattamento, la disciplina riconosce (indirettamente) che la diversità delle esigenze è difficilmente riassumibile in pochi assunti. 

In modo aperto o implicito, Design for All, Inclusive Design e Universal Design, tengono in considerazione l’impatto ambientale e il risparmio energetico – si affrontano sfide ambientali senza precedenti, e pertanto promuovono una progettazione sostenibile e responsabile per costruire una società più giusta, sostenibile e inclusiva per le generazioni presenti e future.

 

PEBA Lombardia, Linee Guida in chiave Design for All

Il 23 novembre 2021, la Regione Lombardia ha deliberato le nuove Linee Guida regionali per l’elaborazione dei PEBA. PEBA è l’acronimo di “Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche”.  La Legge del 1986 che intrudeva l’obbligo da parte dei Comuni non ha dato gli esiti auspicati, e molti comuni non sono dotati di un piano. Molto probabilmente, le ragioni risiedono nella mancanza d indicazioni tecniche necessarie alle Amministrazioni per la loro redazione.

La Regione Lombardia, deliberando le nuove linee guida, cambia radicalmente il paradigma. Non si tratta più unicamente di eliminare le barriere architettoniche, ma coniuga la progettazione accessibile e inclusione sociale dei cittadini, benessere ambientale e vivibilità dello spazio pubblico. Ancor più, innova la procedura seguendo l’approccio Design for All: un processo che include tutti gli attori, gli utenti e i decisori nella progettazione.

In questo modo, si sta cercando di andare oltre un approccio meramente burocratico, bensì si tende a strutturare gli interventi per la comunità con l’ottica di migliorare la qualità della vita. Non solo per le persone con disabilità, anche per garantire la mobilità, la fruizione di percorsi tra i luoghi di maggiore interesse (i luoghi dei servizi sociali, sanitari, storico-culturali, sportivi, ricreativi, scolastici). Un’opportunità per rilanciare l’attrattività dei territori e promuoverne l’economia e il turismo.

Per questo motivo, l’Associazione Design for All Italia mette a disposizione le proprie competenze a tutte le Amministrazioni pubbliche che necessitano di un supporto per l’elaborazione dei PEBA. In particolare per la formazione del personale amministrativo e per la consulenza strategica nella definizione degli obiettivi e priorità. A questo link potete trovare le informazione necessarie.

Per maggiori informazioni sulle linee guida, potete consultare l’articolo integrale dell’Associazione Ledha.

Francesco Rodighiero – Nuovo presidente Design for All Italia

A maggio 2021 si sono svolte le elezioni del nuovo direttivo dell’Associazione Design for All Italia, e con grande orgoglio comunichiamo che il nuovo presidente eletto è Francesco Rodighiero. Il ruolo istituzionale che ricoprirà per i prossimi due anni sarà rivolto principalmente alla disseminazione dei valori e dei principi del Design for All.

Il nuovo direttivo è composto da:

In particolare si è proposto di proseguire il lavoro e l’impegno del su precedessore, Giuseppe di Bucchianico, nel consolidare la base dell’associazione nonché di riflettere sulla comunicazione efficace per un pubblico trasversale e variegato. In particolare, a breve, comincerà un grande confronto con tutti gli stakeholder per approfondire e confrontarsi sull’efficacia della legge sull’accessibilità 13/1989.

Come Presidente Design for All Italia, l’intento è quello di capirne i pregi e i limiti dopo più di quarant’anni di applicazione, per poi costruire un eventuale processo che porti alla costituzione di documenti utili alla costruzione di una nuova legge sicuramente meno prescrittiva e più indicativa secondo il trend dell’Europa e dei paesi nordici.

Inoltre, si penserà a come implementare i servizi e le formazioni didattiche. L’Associazione vuole divenatre un riferimento solido sul tema per corsi, università e istituti e pubbliche amministrazioni. Non si escludono anche consulenze ad aziende per processi di co-design unitamente all’estrapolazione dei bisogni degli stakeholder per definire i requisiti di progetto. 

Design per l’accessibilità e la bellezza

1. Funziona. Ma non lo uso perché non mi piace.

A febbraio 2016, è stato organizzato da Thinkalize (e poi da Prodevo), Ipasvi e Paco un hackthon presso il Fablab di Brescia con persone affette da artrite reumatoide. E’ stata l’occasione per testare alcuni prodotti presenti in commercio da far provare e raccogliere dati per lo sviluppo di nuovi oggetti o il miglioramento degli esistenti. Abbiamo quindi preso nota delle osservazioni sul funzionamento, comodità, impressioni e commenti personali. Erano tutti strumenti scelti in base a tematiche sollevate dagli stessi pazienti: girare le chiavi, aprire le bottiglie o barattoli, impugnare le posate.

La vera nota di rilievo è stata la reazione di una paziente. Nonostante abbia ammesso che alcuni prodotti risolvessero un suo problema quotidiano, dichiara apertamente che non ha nessuna intenzione di acquistarli o usarli nemmeno in ambito domestico. Li ha ritenuti sgradevoli e fonte di imbarazzo. Nel caso specifico del gira-chiavi, ci ha fatto anche notare che proprio per questo motivo (oltre alle dimensioni) è uno strumento impossibile da portare con sé, nemmeno in borsa.

2. Il progetto per l’individuo reale. Risolvere problemi non è sufficiente.

E’ evidente che il focus dei progetti da sviluppare non si risolve nel mero funzionalismo, ma il funzionalismo diventa il presupposto per affrontare altre questioni ben più importanti: capire l’utente, come vuole sentirsi, in che occasioni viene utilizzato uno strumento, quali sono le dinamiche comportamentali, ecc. Insomma capire le emozioni e le esigenze personali dell’utente è fondamentale in questa tipologia di progetti.

Pensare quindi di risolvere un problema senza tener presente quanto sia importante la gradevolezza, sembra essere la conferma dell’erroneità del progetto. Un prodotto sgradevole, anche regalato, non viene utilizzato pur svolgendo perfettamente la funzione richiesta. Il prodotto “ghettizzante” non lo vuole nessuno, sia esso industriale, artigianale, DIY o Opensource. E se le usa è perché è costretto dalla sua disabilità, o nel peggiore dei casi, perché non ha la capacità d’acquisto per scegliere di meglio.

3. Una moltitudine di ausili: serve ricerca per non inventare la ruota.

In questo campo, come negli altri, la ricerca prima del progetto è importante. Nel caso del design per l’accessibilità è fondamentale, dato che il mondo di ausili e strumenti per persone con disabilità temporanee o permanenti è davvero grande. Il problema è che le informazioni non sono così accessibili (ironia della sorte) come nel mondo del design classico. Molti strumenti hanno nomi estremamente specifici o improbabili, i prodotti in commercio trovano il loro posto nella rete in siti vecchi e abbandonati, o peggio, ancora non hanno un’immagine di riferimento.
E’ consigliabile quindi visitare un’ausilioteca per capire il panorama delle soluzioni più comuni, fare una ricerca lunga e approfondita online per capire cosa esiste già e come il problema è stato risolto. L’operazione può richiedere svariato tempo. Diversamente, molti progetti per l’accessibilità sono mere rivisitazioni, restyle di prodotti esistenti di cui è possibile fare il gioco delle differenze.

4. La dignità come incognita non quantificabile.

Ancora una volta il Design for All, a distanza di svariati decenni, risulta ancora il miglior approccio per la progettazione. Perché a differenza di altri approcci, molti nati recentemente, pone al primo posto la dignità delle persone. Il Design for All ti spinge costantemente verso una spiccata sensibilità progettuale che permette di ottenere un risultato finale spesso vincente. In alcuni casi addirittura non si notano le qualità inclusive e il progetto si inserisce nei più comuni contesti del design.
C’è quindi la possibilità di trasformare un ausilio in gadget, un accessorio in momento decorativo. Vi sembra poco?
Ma la domanda aperta, in realtà, è questa: come quantificare la dignità?

Vedi altri progetti di Hackability

5. Soluzione for All + Poesia = Bingo!

Nel 2015 ho assistito ad una lezione al Politecnico di Milano del corso di Design for All. Avril Accolla ha tenuto un intervento sottoponendoci un progetto esemplare di come l’inclusione possa essere sviluppata nel progetto.

La piazza inclinata del Teatro dell’Opera di Oslo: un progetto che fa parlare, magari anche discutere, ma la nota era altrove. Era solo il pretesto per esprimere un’idea lungimirante, seppur non nuova, dalla capacità di sintesi ed efficacia notevole: “Se al progetto for All aggiungi la Poesia, hai fatto Bingo.”. Se per gli addetti al lavoro è una frase scontata, la realtà industriale toglie la poesia, imponendo al prodotto l’ostacolo della sua sgradevolezza e privandolo della sua funzione, intesa come ragion d’essere.

6. Alcuni consigli per la progettazione.

  1. Parla e confrontati con le persone (vedi Hackability che è uno statement).
  2. Fai una ricerca lunga e approfondita dei prodotti e delle soluzioni esistenti.
  3. Parti da un progetto/sistema funzionante e declinalo formalmente in base alle esigenze e al contesto.
  4. Progetta come se stessi progettando per te, o per la migliore azienda.
  5. Ricorda che il corpo umano è uno strumento, e ogni sua parte ti può aiutare.
  6. Non cercare sempre di nascondere o mimetizzare il prodotto, a volte la visibilità può essere un vantaggio.
  7. Ricordati che la disabilità è variabile e la personalizzazione è importante.
  8. Usa tutta la tecnologia che ti è più utile.
  9. Verifica e testa i tuoi progetti con gli utenti finali: da loro riceverai i migliori suggerimenti.
  10. Se puoi, rendi il tuo progetto opensource.

P.S. Ringrazio di cuore il Prof. Luigi Bandini Buti, maestro e amico. Molto nasce da sereni dialoghi e difficili confronti.

Francesco Rodighiero

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