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Cos’è il Design for All – Intervista a Francesco Rodighiero

Recentemente mi hanno sottoposto una serie di domande molto pertinenti per capire a fondo il Design for All e come possa essere utile quando applicato. E’ una breve intervista che cerca di fare il punto della situazione e costituire un punto di partenza per chi vuole approfondire il tema.

Francesco Rodighiero

1. Cos’è il Design for All? Come lo intende?

La Dichiarazione di Stoccolma del 2004 non lascia spazio a fraintendimenti e definisce il Design for All come il “[..] il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza. [..]”. A livello più personale, utilizzo i principi del DfA perché i prodotti per persone con disabilità abbiano la stessa cura dei prodotti del classico mondo del Design.

Dichiarazione di Stoccolma dell’EIDD©, 2004

2. Come progetta un prodotto seguendo i principi del Design for All?

I progetti nascono sempre dall’osservazione, dalla ricerca e principalmente dalle richieste della committenza. Il Design for All mi è utile per avere molta attenzione all’utenza ampliata: il Design tradizionale progetta spesso e volentieri per astrazione considerando l’uomo standard. Di fatto l’uomo standard non esiste, ma è invece un sistema complesso di abilità diversificate, a volte disabilità, e soprattutto desideri, aspirazioni.

vedi i nostri progetti Design for All

3. Si avvale anche del confronto con altri professionisti?

Nello Studio Rodighiero.Design ho la fortuna di avere un padre ingegnere che mi supporta in alcune soluzioni tecniche, i prodotti per le persone con disabilità a norma devono rispettare le portate e quindi sollecitazioni e sforzi di svariate centinaia di kg. Dall’altro lato ho un fratello architetto che mi aiuta a considerare e contestualizzare i prodotti all’interno di ambienti ricercati e contemporanei. Mi considero fortunato.

4. Come si è evoluta negli anni la progettazione “senza barriere architettoniche”?

Sicuramente negli ultimi vent’anni si fa molta più attenzione alle barriere architettoniche, anche se risolvono solo una parte del ‘problema’. Rendere accessibile un museo non significa rendere fruibile a tutti l’esposizione. Basti pensare ai non vedenti… In questo senso, è meglio avere un approccio inclusivo come il DfA e rendere l’abbattimento delle barriere architettoniche un sottoinsieme del processo di progettazione.

5. Si ritiene soddisfatto del percorso evolutivo della progettazione?

Sì, se vedessi anche grandi designer e archistar progettare in modo inclusivo…

6. Quali sono, secondo lei, gli aspetti che meritano più attenzione per il futuro?

L’invecchiamento della popolazione e la sua longevità sono fattori che non si possono non tenere in considerazione. E gli anziani di oggi sono persone che non voglio sentirsi tali, sono connessi alla rete e tecnologicamente educati grazie ai dispositivi mobili. In questo contesto, la dignità delle persone sarà sempre più importante. Non ci può più permettere di progettare ausili dal sapore ospedaliero, e, più in generale, mettere in commercio prodotti difficili da comprendere e utilizzare.

7. Come giudica la vision di Goman riguardo il Design for All? Avete nuovi progetti in cantiere?

Estremamente nobile. Sono rarissime le aziende che rischiano proponendo prodotti innovativi e inclusivi, che, nel suo settore, possono risultare dirompenti e inusuali. Ci vuole coraggio e determinazione. Dai risultati soddisfacenti delle vendite di Prime e dalla selezione per il Compasso D’Oro ADI, stiamo cogliendo l’occasione per sviluppare insieme al dipartimento di R&S un progetto nuovo che fa tesoro delle novità degli ultimi successi.

Fenomenologia dell’esclusione

Il Design for All come approccio contemporaneo alla progettazione

Mi trovavo negli Stati Uniti, era la prima metà di giugno del 2009, e mi aggiravo lungo il passeggio che costeggia l’Oceano. Era, per me, la mia prima volta negli Stati Uniti e non esito a esprimere la mia profonda delusione. Un luogo senza identità, o almeno come la intendiamo noi europei, e senza riferimenti. Giungo finalmente in una libreria curioso di capire se avrei mai trovato qualcosa per cui sforzarmi di leggere in lingua originale; subito all’ingresso si presenta la sezione Design e Architettura. Non nascondo che la cosa mi fece piacere, un po’ perché avevo immediatamente trovato il mio spot in un’immensa (come tutto in America) libreria e un po’ perché avrei speso le prossime ore in luogo diverso da fast food, una boutique di abbigliamento, una mostra.

Tra i libri in evidenza trovo in primo piano quello che avrei poco dopo comprato: “Design meets disability” di Graham Pullin. L’argomento non mi suonava nuovo, proprio perché stavo sviluppando, nello stesso periodo, un progetto di un lavabo molto particolare per diversamente abili per un’azienda (Goman) e le mie ricerche hanno incontrato più volte l’Universal Design e le sue applicazioni.

Dalle prime pagine si evince che: “Universal design è il termine che viene associato ad una metodologia progettuale ad ampio spettro, e che ha per obiettivo la progettazione e la realizzazione di edifici, prodotti e ambienti accessibili a ogni categoria di persone portatrici e non di disabilità”. Tra la moltitudine di esempi possibili di Universal Design, i primi che l’autore sceglie sono l’iPhone (all’epoca era il 3G); il motivo soggiace nella tastiera numerica che il sistema operativo aveva predisposto in maniera tale da occupare tutto lo schermo. I pulsanti numerici erano, e sono ancora, sovradimensionati e pertanto la composizione di numero del telefono desiderato è estremamente accessibile anche agli anziani.

Si mostra clamorosamente che il pubblico di riferimento non è, come potrebbe sembrar scontato, unicamente la popolazione portatrice di disabilità, ma principalmente quella che vive la ormai conclamata terza, ma soprattutto quarta età. Diventa chiaro che l’età avanzata è fra i principali temi affrontati dalle discipline e dai processi di progettazione per l’utenza ampliata.

Qualche dato può aiutare a capirne la portata e la valenza. Va premesso che la definizione di anziano tout-court è vaga ed elastica; sia in ambito scientifico che nei rapporti tra individuo e società l’elemento che viene assunto come indicatore dell’invecchiamento è rappresentato dall’età cronologica. In altri termini si definisce anziano un individuo che abbia superato una soglia convenzionale di 60-65 anni. Sempre convenzionalmente si può definire terza età quella che va dai 60–65 anni ai 75 e la quarta età quella che dai 76 anni va oltre. Nell’Unione Europea vi sono attualmente più di 70 milioni di ultra sessantenni, il che corrisponde al 20% della intera popolazione.

Nel 2030 in Italia, secondo una indagine Eurispes, avremo un anziano ogni tre cittadini. È ovvio che nulla accomuna i soggetti della stessa fascia d’età; troviamo infatti anziani giovanilissimi, vispi e autosufficienti di 80 anni. Altrettanto ovvio è che avvicinarsi alla terza età, ma soprattutto alla quarta, porta con più probabilità al manifestarsi di malattie, patologie e difficoltà di vario genere.

Ma approfondendo e tornando sull’argomento, l’Universal Design non è l’approccio più corretto, o quanto meno il più completo e esaustivo per affrontare una tematica così complessa e eterogenea come la progettazione rivolta a tutta la popolazione. L’Universal Design, molto diffuso negli Stati Uniti, è molto concentrato sul prodotto finale utilizzando regole di facile applicazione; questo permette di avere risultati e vantaggi a breve termine, ma fallisce completamente nel creare una coscienza dell’inclusione sociale nei decisori e nei progettisti. Quindi le metodologie proposte da questa disciplina non permettono di misurare il rispetto della dignità umana, perché non misurabile con parametri puramente oggettivi. In questo senso, il Design for All si differenzia radicalmente.

Il Design for All è il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza”. “Progettare Design for All significa concepire ambienti, sistemi, prodotti e servizi fruibili autonomamente da parte di persone con esigenze e abilità diversificate”. È un processo progettuale che fa uso cosciente dell’analisi dei bisogni e delle aspirazioni umane ed esige il coinvolgimento degli utenti diretti. Sono quindi contemplati, a differenza di altre discipline, tutti gli elementi del progetto che non costituiscano discriminazione sociale o codici di ghettizzazione degli utenti. Questo è il punto chiave che permette al Design for All di mettersi in una posizione privilegiata, più contemporanea, e che allo stesso tempo amplia i fattori d’analisi nel progetto. Sono infatti coinvolti tutti i sensi (5) dell’uomo e perciò si può definire un approccio olistico, che senza dubbio risulta una sfida creativa ed etica non solo per designer e progettisti, ma anche per imprenditori, amministrazioni pubbliche e leader politici. È importante, infine, specificare che per “All” si intendono tutte le persone che vogliono, desiderano o devono fruire del progetto, e non “tutti” in senso categorico.

Sono disponibili diversi esempi dove questo processo di progettazione ha trovato applicazione con discreto successo. L’ambiente accessibile (anche se spesso discriminatorio) per antonomasia è sicuramente il bagno, anche perché regolato da normative precise quando è di servizio pubblico in contesti quali bar, ristoranti, alberghi, fiere, ecc… Meno scontato come esempio è lo sforzo degli ultimi anni da parte di Autogrill di disporre di strutture seguendo le linee guida del Design for All. Al momento, i siti di ospitalità e sosta davvero accessibili di Autogrill si trovano a Ravenna sulla E45 e a Villaroesi Est sulla A8 Milano Laghi. Questi due edifici sono agibili in tutte le loro parti in modo non discriminatorio, le scaffalature sono raggiungibili da tutti (bambini, adulti, diversamente abili), gli arredi (sedute e tavoli) sono leggeri e di facile manipolazione, contrasti cromatici adeguati, banconi accessibili anche per chi dispone di sedia a rotelle, ecc. Addirittura i bagni della struttura Villoresi Est hanno una conformazione originale e quasi sui genereris che non solo non è discriminante, ma è più confortevole e funzionale. Non è un caso che l’Associazione DfA Italia abbia conferito ad Autogrill il Marchio di Qualità Design for All.

Tra i vari prodotti accessibili, in commercio o in via di sviluppo, merita ancora una nota il Delicanter, progettato da Paolo Favaretto. Si tratta di un decanter in cristallo soffiato con un fondo quasi sferico accolto da una base di legno o metallo. In questo modo è anche (ma non solo) possibile servire la bevanda (vino o liquore) senza il minimo sforzo, perché è sufficiente far ruotare il decanter senza sollevarlo. È un progetto che apre la strada a chi ha difficoltà a gestire pesi (specialmente se i pesi sono sbilanciati) o ha perso la precisione nell’effettuare gesti di uso quotidiano. Questo accessorio da cucina è solo uno di una lunga serie di oggetti innovativi che possono sottolineare l’importanza di creare un mondo fruibile e confortevole per tutti attraverso un Design sempre più attento ai bisogni delle persone.

Se è chiaro che il Design for All (come altre discipline similari) si rivolge principalmente, ma non esclusivamente, agli anziani (per accessibilità e indipendenza) a quindi ad una fascia della popolazione molto amplia, stupisce come non sia un approccio e un metodo così diffuso e percepibile nella vita quotidiana. Ricerche dimostrano che il 90% dei prodotti in Europa non siano completamente accessibili e urge un’educazione ma soprattutto una sensibilità progettuale che completi il lavoro e l’efficacia mostrata dall’applicazione di normative locali o internazionali come, ad esempio, l’abbattimento delle barriere architettoniche. È sufficiente pensare a Ikea, la cui diffusione mondiale sia per arredi e complementi d’arredo che per un design democratico e a basso costo, per dimostrare come l’argomento “accessibilità” non sia una priorità; al momento, infatti, è presente una cucina per diversamente abili e poco altro. Sotto l’ottica del Design for All, Ikea diventa subito un riferimento meno democratico e con una visibilità da far riflettere. In questo senso, purtroppo, si può parlare di una fenomenologia dell’esclusione, sociale e percepita. I motivi che non spingono Ikea verso un’inclusione sociale più dichiarata sono molteplici e forse insindacabili, ma di certo questa multinazionale attualmente sta perdendo un’occasione.

Infatti il Design for All può essere una leva economica per le aziende da non sottovalutare: consente di soddisfare la maggior parte dei clienti dando facilità, comodità e gradevolezza d’uso anche a fasce penalizzate o spesso escluse, fidelizza i clienti perché valorizza la loro specificità, e dà una risposta creativa e non discriminante alle norme per la sicurezza e le disabilità. Ovviamente aumentare la possibilità di utilizzo di un ambiente o un prodotto significa aumentare il numero di utenti o consumatori, ma soprattutto, nel panorama attuale, per un’azienda significa differenziarsi e mostrarsi socialmente attivi, contemporanei. Si può dire con certezza che progettare il Design for All non significhi applicare al progetto limiti o restrizioni, ma che si tratti di un’occasione per sviluppare prodotti, sistemi o ambienti che abbiano un forte valore innovativo portatore, volendo, di nuovi linguaggi e soluzioni; celebre è la frase di Paul Hogan, presidente del EIDD Design for All Europe “Good design enables, bad design disables”.

È giunto ormai il momento che il Design for All, o più in generale il Design per la persona, venga trattato, considerato e valorizzato con lo stesso impegno con cui nell’ultimo decennio si è trattato il tema “sostenibilità” e dintorni. Se un prodotto non può prescindere dal considerare il suo impatto ambientale, ora non è più accettabile che un prodotto non consideri la possibilità che venga utilizzato da persone con abilità diversificate. Il futuro del design è conseguente, come la Storia insegna, al futuro dell’uomo; l’unica certezza è che l’uomo sopravvive sempre più a lungo e le difficoltà generate da questo fenomeno vanno affrontate.

Se il Design non se ne occupa è fuori dalla Storia.

BIBLIOGRAFIA

Graham Pullin, Design meets disability, Mit Pr, 2011

Avril Accolla, Design for All — Il progetto per l’individuo reale, Franco Angeli, 2009

Luigi Bandini Buti, Ergonomia Olistica, Franco Angeli, 2008

Gilardelli Daniela, Progetto “Idea DfA” — Il primo progetto italiano di introduzione del Design for All nelle PMI e le linee guida emerse, Camera di Commercio di Milan

La manipolazione e/o la riproduzione (totale o parziale) e/o la diffusione telematica di quest’opera sono consentite previa autorizzazione degli autori. Questo saggio è stato pubblicato nel 2012 all’interno di Bootleg 5/10.

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